lunedì 18 aprile 2011

Sai, talvolta il silenzio può essere più eloquente di qualsiasi discorso mai fatto.

Quella sera, sotto le luci della città che scandivano il doloroso trascorrere del tempo, decisi di prolungare la mia passeggiata serale, spinta dal desiderio di assaporare un pò di quella vita di cui son sempre stata affamata.
Il buio artificiale che accompagnava le nottate di lavoro in ufficio, rischiarato da un piccolo lume blu elettrico che si discostava completamente dalla sobrietà dell'arredamento, non era niente in confronto all'immensa notte che si stendeva di fronte al mio sguardo,  scandagliata da piccoli punti di luce.
Quante di quelle serate mi ero persa nel corso del tempo? Quante, sarei ancora stata disposta a perdere?
In quell'istante, mi resi conto dell'inconsapevolezza che accompagna ogni nostro giorno, come se la nostra esistenza non fosse altro che il prolungamento di un sogno contro cui la realtà si va a scontrare, incidendone profondamente il trascorso.
Ma quel cielo notturno, che nulla aveva da invidiare al mondo, si offriva come sfondo ad una visione ancor più interessante: quegli attimi di vita di sconosciuti, che, come acquistati, si offrivano alle lettura dei miei occhi. 
Sapete, fin da piccola, mi son sempre ribbellata all'idea di dover descrivere persone e luoghi da me così ben conosciuti, perchè avrei dovuto?
 Tutto ciò che osserviamo, son libri aperti, gli uni racchiusi negli altri, perchè tentar di riprodurne una copia così imperfetta?
Ma, ben presto, i miei pensieri,  che volavano tra luoghi apparentemente così lontani, furono attratti da lineamenti sconosciuti, eppur così familiari.
Un uomo, pressocchè della mia età, di aspetto elegante e curato, aveva catturato il mio sguardo che oramai inconsciamente seguiva ogni suo singolo movimento.
Il gesto fulmineo che accompagnò l'impercettibile movimento dei suoi capelli, le mani tese e al contempo l'impassibilità del suo volto, consapevole del fatto che il resto del mondo non potesse che fermarsi per ammirarlo, richiamò alla mente il ricordo di quel familiare sconosciuto.
Tempo tiranno, può essere un ricordo tanto vivo?
 Istintivamente tirai a me le maniche della felpa, come non facevo più da tempo.
 Quanti gesti lasciamo abbandonati nel dimenticatoio, impolverati negli atri della nostra mente, finchè un soffio di passato non li riporti alla luce.
Quello era un gesto che avrei preferito non dover mai rispolverare.
Alzai gli occhi e lo vidi, lì, di fronte a me, quel libro di cui conoscevo perfettamente il contenuto, con la copertina sbiadita ma gli occhi di sempre.
 Si avvicinò, mi sfiorò delicatamente la mano e continuò a passo lento.
Non avevo bisogno di parole per capire, noi non ne avevamo mai avuto bisogno.
 Il sussulto di quel "Noi" nella mia mente provocò un brivido freddo che si fermò all'altezza della schiena, incatenato dalla paura di scoprire come andrà a finire.
Lo seguii, senza esitazioni.
Il passo che quella stessa sera mi aveva ricondotto in quel luogo, mi condusse da lui, su quella panchina logorata dal tempo ma perfettamente stabile, su quel terreno che sembrava quasi risucchiarmi nel tempo infantile in cui ogni istante non era mai stato così reale.
 Restammo in silenzio.
L'eloquenza non ci apparteneva, eravamo fatti di gesti improvvisati, dell'istintività delle nostre emozioni, delle pulsazioni del nostro cuore.
La prima volta che mi incontrò, gli bastò uno sguardo per leggere l'assenso nei miei occhi, vili farabbutti.
Si avvicinò e mi baciò, semplicemente, con l'innocenza dei bambini che arrossiscono.
Fù come assaggiare, per l'ultima volta,  quella fetta di torta, di cui non ricorderai mai più il sapore, ma resterai eternamente convinto del fatto che non ne sarebbe mai esistita di migliore.
Da quel momento, prese la mia mano e la tenne salda alla sua, non abbandonandola mai.
Anche adesso, che la vita aveva lasciato la sua incancellabile impronta nel nostro rapporto, sentii le sua dita scavalcare la barriera della mia fredda mano, ancora saldamente stretta alla  manica della felpa, insinuarsi nei tessuti congelati, riportando il rossore di quel nostro primo bacio.
E la fragilità infantile di un timido gesto ne rivelò la forza prorompente, in grado persino di superare la barriera del tempo che aveva unito le loro vite nell'arco di un momento.
Ma ciò che viene unito, prima o poi dovrà esser diviso, per imprimerne ancor più affondo il segno.
Mi alzai, quella volta spettò a me il saluto,noi di addii non siam mai stati fatti, l'addio è il non ritorno, ma come si fa a non ritornare se infondo nessuno di noi se n'è mai andato?
Lo guardai, sorrisi e con una semplicità che non mi apparteneva andai via, senza voltarmi.
Sai, talvolta il silenzio può essere più eloquente di qualsiasi discorso mai fatto.
E fù l'ultima volta che lo vidi, quel libro che parlava esattamente di me, di cui cerco ancora il riflesso in ogni istante.

giovedì 31 marzo 2011

Eri l'impalcatura del mio mondo.


Da piccola mi hai insegnato a non arrendermi mai, hai trattenuto i miei singhiozzi esasperati per un mondo che non mi apparteneva, hai asciugato le paure che immergevano i miei sogni e mi hai insegnato a piangere le parole, urlate e soffocate nella bocca dello stomaco, sulle pagine dei quaderni per mascherare le ferite fin troppo evid...enti.

Hai associato ad ogni mio piccolo dettaglio, forse anche quello più stupido, un nome che riportava alla luce lati di me che solo tu conoscevi, esploratrice dei miei pensieri, da te mi sentivo protetta, sotto quei capelli nero pece.

Eri tu l'impalcatura del mio mondo, il tetto che mi proteggeva dalle intemperie, eri tu a fornirmi il calore anche nelle più fredde sere.

E oltre quei nostri tetti improvvisati, con schermate di vetro per poter osservare le stelle, ti parlavo di me, come non avevo fatto mai, come se ci fossero legami più forti di quelli stretti sulla Terra, come se la nostra, non fosse altro che il continuo di una storia già vissuta tra anime simili che in ogni vita ritornano a comprendersi e completarsi.

Eri il mio rifugio, quel genitore comprensivo ed affettuoso che mi amava nell'imperfezione e mi spronava a migliorare quando c'era il mondo là fuori che già capirmi non sapeva.

E mi stringevo al tuo Amore, caldo e protettivo, quando il freddo sapore delle mie lacrime tentava di annegarmi in meccanismi troppo complicati perchè allora potessi capire, ero troppo fragile per poter scappare.

Ma tu, mi cullavi tra le tue braccia, lentamente, e il tempo sembrava inesistente, sotto la cura dei tuoi occhi e il canto delle tue parole che mai ho dimenticato, anche adesso che la tua assenza logora quei ricordi frastagliati, ancor capaci di arginare le crepe del mio cuore che continuano a tremare.

A te che mi dicevi di esser forte, anche se forte non son mai stata, e sapevi costruire le certezze di cui avevo bisogno.



Ti ho promesso che c'eran solo sorrisi ad attender la mia vita.
Ti ho promesso di continuare a scriver ciò che sentivo, sbandierare i miei sentimenti ma mai ai migliori offerenti.
Ti ho promesso di continuar ad esser ciò che sono, che mai nessuno l'avrebbe deciso al posto mio.
Ti ho promesso che sarei cresciuta, perchè il tempo di noi non era infinito.
Ti ho promesso che avrei amato.
Ti ho promesso che avrei vissuto per me e per te che mi avresti continuato a guardare attraverso i miei stessi occhi.
Ti ho promesso che mai niente avrebbe impedito alla barriera dei miei occhi di cedere.



Quest'ultima promessa non l'ho mai mantenuta, perchè son qui a pianger di te su un foglio bagnato dalle mie stesse lacrime, che mi ricorda le nostre sere infinite a contemplare le stelle. Sperando che tu sia fiera di me e da questi occhi riesca a vedere ciò che neanche so scrivere.

venerdì 21 gennaio 2011

Il vuoto lasciato dal pianto te lo riempio con sto sorriso stanco, ma , dopotutto, così contento.

Piangere ci svuota, ci prosciuga, e tutta quest'aria evapora e puoi annegarci in questa assenza, annegarci fino a non respirare, e allora lì te le perdi tutte le parole. Ma io sto qua, scruto i tuoi pensieri, ti osservo e saprei descriverle tutte quelle  sfumature, i lineamenti che nascondi sotto lo scuro di quel rossetto che, ogni sera, scivola via insieme alla sicurezza ostentata, tra tacchi troppo alti e capelli troppo lisci. Ma ritorni a casa, ti guardi allo specchio e piangi, piangi e tutto quel trucco se ne va, tu ritorni qui con me, mi ricordo chi sei, anche se so che la stessa sera scapperai. Questa mattina sei mia, finalmente, ti ho aspettato tanto, e continuo a ripeterlo che mi piace il colore dei tuoi occhi, che tu non hai bisogno di tutta quel trucco. Con una matita preferisco scriverci di noi, tracciare i lineamenti del tuo viso, preferisco disegnare un'abbraccio, e poi un'altro, ti chiederei un bacio, te ne chiederei a centinaia che tanto sei mia, sotto il sole sei ancora mia.

Ma questa luna gelosa presto ti ruberà, allora scappi via, ti vai a rifugiare tra le bocche assassine d'amore, che poi amore non è, che poi,io lo so, che l'Amore, quello vero, lo fai solo con me.
Ma non m'importa del mondo, il sole splende e tu sei mia.

martedì 18 gennaio 2011

Che poi è una vita che ti amo sai?

Sono uscita di casa stamattina ma prima di chiuder la porta ho aspettato che il tuo ricordo passasse, me lo sono legato al cuore, e abbiamo iniziato a passeggiare, sai? E più lo guardavo e più ti vedevo, e più ti vedevo più ti sentivo, e più ti sentivo e più ti immaginavo, e più ti immaginavo e più ti amavo.
Perchè la gente i ricordi se li conserva stretti, dentro quelle maglie troppo grandi e sotto le sciarpe di flanella, che poi tu quant'eri bella. Io il tuo ricordo me lo porto con me, durante quelle notte insonni passate a camminare tra le cime delle montagne e le costellazioni d'amore che mi hai disegnato con tutto il tuo cuore.
Che poi da quando tu non ci sei più non vedo che senso ha continuare, ma poi ti risento dentro, pugnalarmi l'anima e strapparmi tutto il male, ti sento che mi fai bene, e mi piace, mi piace da morire.
E allora me le infilo quelle maniche lunghe, mi ci butto dentro ai nostri sogni, quelli di me e di te senza realtà ne perchè, quelli dove un salto ci porta fino in cielo, quello dove i baci non bastano e gli amori non finiscono. Ti ho disegnato sopra le pareti di questa vita e ti avrei cancellato se non fosse che il cuore è un dittatore, mi ha dato l'ordine di continuare ad amare.
Che poi sto cervello è andato in frantumi, non mi ricordo più dove sono, ah si, ero a passeggio, sto calpestando le nostre strade, sento ancora il tuo profumo di buono nell'aria, è come quello della pizza, non stanca, ma mi manca.
Ma questo ricordo sta facendo un pò male, forse sarà l'ora di rientrare.
Richiudo la porta alle mie spalle, ti sento volare, è arrivata l'ora di andare?
Vienimi presto a trovare che c'ho messo na vita per capire che ti amo, ma ora che ti amo non ti lascio più andare.